20 ago 2009

Torna il nucleare in Italia. Che smantella le vecchie centrali


Con 154 voti a favore, un solo contrario e un astenuto, il Senato ha dato il definitivo via libera al “Ddl Sviluppo”: l’Italia dopo 22 anni torna nel nucleare. Questa la novità più rilevante di una legge che ha impiegato quasi dieci mesi per completare il suo percorso, ha passato quattro “letture” parlamentari, ha attraversato 60 sedute in commissione e altrettante in aula tra Camera e Senato, ha affrontato l’esame di oltre 2.800 emendamenti.

Entro sei mesi sarà decisa la normativa per la localizzazione delle nuove centrali nucleari e per i sistemi di deposito e stoccaggio dei rifiuti radioattivi: a gestire il ritorno dell’atomo sarà l’Agenzia per la sicurezza nucleare (Asn). Solo allora si potrà cominciare a piazzare le bandierine dei possibili siti sulla carta geografica. Sarà una fase di intenso mercanteggiamento con le autorità e le comunità locali, ma i margini di manovra sono ristretti anche dalla particolare conformazione geologica e costiera italiana. Si può partire dalla mappa dei possibili siti che il Cnen (poi diventato Enea) disegnò negli anni ‘70. Anche se, annuncia il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola: “Una commissione di dieci autorevoli esperti è al lavoro da dieci mesi e sta producendo buoni risultati. Ho ricevuto numerose richieste di amministrazioni locali che hanno dato disponibilità all’insediamento di centrali nucleari”.

Sui nomi vige il segreto assoluto. A parte le candidature abbozzate ma poi nei fatti ritirate, come quella del Governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo. Se ne può parlare, aveva poi precisato Lombardo, ma solo a determinate condizioni: solo se i siciliani saranno d’accordo, esprimendo la loro opinione “con un referendum”, se la costruzione “conviene dal punto di vista costi-benefici” e se si tratterà di “una centrale assolutamente sicura”.
Nel maggio scorso, si faceva anche riferimento alla Sardegna, dalle parti di S. Margherita di Pula a sud. Alla Puglia, sulla costa di Ostuni. Lungo il Po, dal vercellese fino al mantovano, dove già esistevano le centrali di Trino e di Caorso.

L’obiettivo del governo è di arrivare a coprire il 25 per cento del fabbisogno nazionale, allentando la fame di petrolio della penisola: l’Italia è il settimo importatore al mondo di petrolio (qui i dati in pdf).
Secondo il memorandum d’intesa tra Enel e la francese Edf, la prima centrale nucleare nazionale diventerà operativa per il 2030: è prevista, inoltre, la costruzione di altri tre impianti. Per quella data si stima che la spesa nel mondo per i reattori arriverà a mille miliardi di dollari: un affare d’oro, quello della corsa verso il nucleare civile.

Gli impianti italiani saranno sviluppati da una società d’oltralpe, Areva (controllata indirettamente dall’Eliseo al 90 per cento): saranno centrali Epr (European pressurized reactor) in grado di garantire 1600 Megawatt. Si tratta della terza generazione di impianti nucleari: rispetto alle precedenti, è differente il sistema di raffreddamento e garantisce standard di sicurezza più elevati. Areva costruirà undici dei 41 impianti in cantiere nell’Unione europea, dove il 27 per cento dell’energia arriva dall’atomo (qui i dati): il primo progetto di Epr in fase di realizzazione, l’impianto finlandese di Olkiluoto, sarà consegnato con un ritardo di tre anni e spese lievitate del 25 per cento.
Ma la corsa verso l’atomo è ripresa, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: secondo la Wna, sono 180 i reattori che potrebbero essere conclusi nei prossimi otto anni (qui la mappa in pdf). E sono stati avanzati progetti per altri 282.

L’Italia, intanto, chiude il vecchio capitolo del nucleare. E inizia lo smantellamento delle quattro centrali chiuse dopo il referendum del 1987 (qui i dati). La prima sarà Trino, in provincia di Vercelli, dove sono stoccate 14 tonnellate di materiale radioattivo. Il via libero definitivo arriverà entro sei mesi e la procedura sarà conclusa nel 2013. Ma la comunità locale è attenta: di recente i volontari dell’associazione ambientalista Greenpeace hanno manifestato. E il presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, ha dichiarato che non ospiterà nuovi impianti. Sono altri tre i reattori che attendono lo smantellamento, costruiti tra gli anni Sessanta e Settanta: Latina, Garigliano (Caserta) e Caorso (Piacenza).

Il dossier scorie radioattive, invece, è ancora aperto. Il generale Carlo Jean, in un’audizione del 2003 in Parlamento, aveva dichiarato che erano 58mila i metri cubi di sostanze radioattive presenti in Italia, custodite anche in impianti per il trattamento del combustibile e in centri per la ricerca scientifica (per esempio, Saluggia, Rotondella-Trisaia, Bosco Marengo, Roma-Casaccia: qui il report di Legambiente). E ogni anno se ne aggiungono 500 tonnellate provenienti dalle strutture sanitarie.

Negli ultimi anni parte del materiale ha preso la rotta dell’estero, affidato a società specializzate nel trattamento: la Energy Solutions, per esempio, ha richiesto una licenza per importare dall’Italia ventimila tonnellate di “materiale potenzialmente contaminato”.
Ma il governatore dello Utah (lo Stato che doverebbe ospitare le scorie trattate) si è opposto.
Negli allegati alla domanda presentata alle autorità federali, vengono indicati come luogo di provenienza otto siti italiani: Trino, Caorso, Garigliano, Latina, Saluggia, Bosco Marengo, Casaccia e Trisaia.


(fonte Panorama)

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