22 ago 2009

E adesso su Internet scoppia la guerra delle playlist

La Riaa denuncia il sito Playlist.com, mentre il fenomeno si diffonde tra gli appassionati di musica.


Sotto molti aspetti le playlist sono l'essenza della musica. O perlomeno, l'essenza "soggettiva" della musica: la colonna sonora della propria storia e delle proprie emozioni di ascoltatore. Per questo hanno avuto un ruolo sempre fondamentale, anche in epoca pre-digitale.

I figli del '68 (intesi come la generazione nata dal '68 in avanti) si ricorderanno di sicuro le ore trascorse a confezionare audiocassette, a volte destinate a un ascolto privato, più spesso concepite per conquistare o cercare di condividere emozioni con una persona amata. Appassionanti e sfibranti battaglie contro i 46, 60 o 90 minuti di durata dei nastri, nei quali bisognava far stare tutto ciò che si voleva comunicare, rispettando un determinato ordine, un determinato significato.

Nel 2002 lo scrittore inglese Nick Hornby ha tradotto su carta il sacro sentimento della playlist nel libro 31 canzoni e la diffusione dell'MP3 e delle nuove tecnologie ha reso ancora più semplice e naturale un ascolto musicale basato sulla compilation di canzoni diverse, piuttosto che sull'album del singolo artista.

Era ovvio che prima o poi anche Internet si sarebbe accorta del fenomeno e avrebbe deciso di cavalcarlo con qualche servizio interattivo. Negli ultimi mesi ne sono nati parecchi: l'onnipresente muxtape, mixwit (il mio preferito, con quell'adorabile interfaccia a forma di audiocassetta), imeem, playlist.

A conferma della naturale inclinazione che noi tutti proviamo nei confronti delle playlist, i servizi hanno preso piede con grande naturalezza. Migliaia di utenti hanno sentito il bisogno di costruire la propria playlist e di condividerla con gli amici. Questi servizi hanno offerto loro gli strumenti necessari per farlo, oltre alla possibilità di andare a setacciare l'immenso archivio musicale della Rete

Ma non tutti sono contenti di questo successo. Perchè se una delle prerogative comuni a muxtape e compagni è la loro semplicità d'uso (nello stravolgere e aggiornare la nostra fruizione musicale, le nuove tecnologie e Internet hanno svolto un lavoro incredibile), l'altra è la disinvoltura con cui questi siti hanno permesso agli utenti di utilizzare brani protetti dal diritto d'autore. Le canzoni non sono caricate direttamente online dai siti in questione, ma vengono reperite su blog, archivi pubblici e altri siti dove, nella maggior parte dei casi, sono rese disponibili senza autorizzazione.

Per questo è arrivata la reazione dell'industria discografica. Lunedì la RIAA, l'associazione delle etichette musicali americane, ha denunciato il sito playlist.com, accusandolo di consentire la riproduzione di opere protette da copyright. Il sito permette anche di inserire le compilation su pagine MySpace e Facebook.

A dieci anni da Napster, sembra che il gioco sia sempre lo stesso. Su Internet nascono dei nuovi servizi musicali che - spesso in barba alle tradizionali norme sul copyright - vanno a intercettare esattamente i desideri degli utenti e per questo ottengono un successo clamoroso. Le case discografiche (soprattutto la RIAA) reagiscono seguendo le vie legali. A volte i siti e i servizi sono costretti a chiudere (Napster), a volte stringono accordi con le major (YouTube), a volte sopravvivono senza troppi problemi (il protocollo BitTorrent e il P2P in generale) a volte fungono da ispirazione per future realtà commerciali di successo (iTunes).

Vedremo come andrà a finire con playlist.com. Certo è che anche dal settore delle playlist potrebbero nascere interessanti idee di mercato. Anche per i singoli artisti. Pensate già solo a un sito in cui un artista o una band permette al fan di creare il proprio album preferito (scegliendo personalmente le canzoni) e poi magari glielo stampa e spedisce su un cd autografato. O a quello che potrebbero fare le major con i loro immensi cataloghi.

Da un altro punto di vista, il boom dei vari muxtape, mixwit o playlist.com contribuisce anche a demolire il mito del "download" come vocabolo necessario per la distribuzione musicale online. Tutti i servizi citati permettono solo l'ascolto in streaming: non si scarica niente. A dimostrazione di come nella fruizione della musica spesso non sia tanto importante il possesso, quanto la piacevolezza (e la personalizzazione) dell'esperienza. A maggior ragione nella Internet "always on" dei nostri giorni.

Aggiornamento (30/4/2008, ore 10.11):
Secondo quanto riporta Silicon Alley Insider, c'è una major che non si è unita alla battaglia legale contro Playlist.com. E' la SonyBMG, che starebbe seguendo la via più m0rbida del negoziato.

Luca Castelli su "La Stampa.it"

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Il perchè di questo articolo è presto detto, vi sarete senz'altro resi conto che oramai è svariato tempo che la playlist musicale che accompagnava il tempo delle vostre letture sul mio blog non funziona e che a tale problematica ho cercato vari rimedi, ho girato e rigirato internet in lungo e in largo ma a quanto pare si continua ad approfittare dei regolamenti sul copyright in maniera sempre più oppressiva e stupidamente restrittiva, sono purtroppo svaniti i tempi in cui le stesse case discografiche, consapevoli dell'utilità delle cassettine pirata a scopo divulgativo, permettevano la diffusione delle loro canzoni e che per contrastare il calo delle vendite tendevano ad offrire un servizio sempre migliore magari in qualità sonora o ancora con varie brochure ben fatte e riempitivi quali i testi delle canzoni e splendidi book fotografici.

Adesso tutto sta in mano a gente senza scrupoli che pur di vendere due copie in più fanno guerre legali, utilizzano avvocati, cercano condanne per farsi risarcire di danni che non meriterebbero neppure dato che la maggior parte della loro discografia di scarsissimo livello non venderebbe neppure una copia se non fosse per l'estenuante pubblicità interattiva che certi siti vi regalano.

Continuando quindi a vederli affondare e ad utilizzare tali mezzucci per continuare a campare, richiedendo cifre da capogiro, ai su citati siti, per aver permesso a qualche utente di ascoltare della musica senza neppure redistribuirla e soprattutto senza alcuno scopo di lucro ci auguriamo che questi metodi da titanic autolesionisti e meschini si sbrighino a far piazza pulita di case come la RIAA che tutto sono fuorchè case di produzione artistica a mio personale avviso, direi che possono essere più che altro definite quali monopolisti musicali dai quali persino gli artisti stessi dovrebbero scappare per loro stessa incolumità artistica.

_DANCER_

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