29 ago 2009

«Calciatrice uccisa perché gay» Processo-choc in Sudafrica

Eudy Simelane
(Foto A destra)
era capitano della nazionale femminile

Quattro gli ar­restati, tutti tra i 18 e i 24 anni

Non solo tra le «Banyana Banyana», le ragazze della na­zionale di calcio, ci era arriva­ta. Alla fine, inseguendo pallo­n i a centrocampo e facendo ri­partire l’azione, si era anche guadagnata la fascia di capita­no della squadra femminile sudafricana. Il sogno però si è spezzato, su un campo che non era rettangolare.

Il corpo di Eudy Simelane, 31 anni, lesbica, è stato trova­to seminudo in un parco di KwaThema, la sua cittadina natale alle porte di Johanne­sburg. Violentata e uccisa nel­l’aprile dell’anno scorso con 25 coltellate a l volto, al seno, alle gambe.
Uno «stupro corretti­vo » finito in omici­dio, secondo le orga­nizzazioni sudafrica­ne per i diritti di gay e lesbiche. Vale a dire, una violenza delibera­tamente inflitta per cambiare l’orienta­mento sessuale della vittima. Quattro gli ar­restati, tutti tra i 18 e i 24 anni. Per tre di lo­ro il processo si è aperto lo scorso mer­coledì a Delmas, nella provincia settentrio­nale del Mpumalan­ga.

Eudy era stata una delle prime donne di KwaThema a vivere apertamente la sua omosessualità ed era impe­gnata in prima linea per i dirit­ti dei gay. «Perché hanno fat­to questo gesto orribile? Per quello che lei era?» ripete la madre Mally ai media africa­ni: «Era solo una donna dolce, che non ha mai fatto del male a nessuno». Alla nazionale Eu­dy era arrivata giocando nelle «Springs Home Sweepers», la squadra del suo paese, che ri­cambiava con l’affetto la noto­rietà regalata dalle convocazio­ni della concittadina.
Adesso però la corte di Del­mas deve giudicare Themba Mvubu, Khumbulani Magagu­la e Johannes Mahlangu, i tre ragazzi di quella stessa comu­nità accusati di aver stuprato, ucciso e derubato Eudy. Si di­chiarano innocenti mentre Thato Mphiti, il quarto uomo della presunta gang, ha con­fessato ed è già stato condan­nato a 32 anni in un processo separato. Nessun reato di stu­pro, però. Con la precisazione del giudice che «l’orientamen­to sessuale della vittima non ha rilevanza nel caso».

«È un modo per non am­mettere che le donne lesbiche in Sudafrica vanno incontro a stupri e omicidi» denuncia sul quotidiano Telegraph Phu­mi Mtetwa, la direttrice della ong di Johannesburg Lesbian and gay equality project . «La violenza sulle donne omoses­suali per renderle 'normali' è semprepiùfrequente»confer­ma al Corriere Stephanie Ross, funzionario dell’agenzia internazionale Action Aid e cu­ratrice del report 2009 «Crimi­ni d’odio: la crescita dello 'stu­pro correttivo' in Sudafrica». «Solo a Johannesburg almeno 10 lesbiche subiscono ogni settimana aggressioni di que­sto tipo e il numero reale è probabilmente molto più al­to », aggiunge. Un paradosso in un Paese dove dal 2006 la Costituzione consente anche il matrimonio tra gay: «Alla fi­ne gli 'stupri correttivi' au­mentano proprio perché le donne si sentono incoraggia­te dalle legge a vivere aperta­mente la loro omosessualità ma si scontrano con una vio­lenza reale radicata e impuni­ta. Pochi casi arrivano a pro­cesso e raramente i colpevoli sono catturati e condannati». Anche per questo oltre 250 at­tivisti sono accorsi mercoledì al processo per Eudy. A chiede­re con i loro striscioni «giusti­zia per lei e per tutte le don­ne».

Alessia Rastelli
29 agosto 2009
corriere.it (Fonte: Facebook)

Boccadifalco - City Airport


Dall’1 gennaio del 2009 l’aeroporto di Boccadifalco è stato

trasformato da aeroporto militare ad aeroporto civile. Questo passaggio è fondamentale per la sua progressiva trasformazione che è stata progettata dall’ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile) che lo renderanno un polo produttivo della città. Il progetto è stato pubblicizzato un

paio di anni fa e rigarda una rivoluzione totale per il vecchio aeroporto militare, che ricordiamo è stato, fino al 1960, il principale aeroporto civile cittadino, e uno dei più trafficati scali italiani. Il progetto dell’ENAC non prevede solo un ripristino dello scalo in chiave civile, bensì varie strutture di servizio alla città, in particolare: una piccola aerostazione, un museo del volo, un centro di formazione piloti, un hotel, un centro congressi, sede per la protezione civile regionale, una postazione fissa di carabinieri, una postazione fissa di polizia ed una postazione fissa della guardia di finanza. La pista attualmente misura circa 1.250 metri ma non dispone de

gli spazi di sicurezza necessari per un utilizzo intensivo, infatti è prevista una lieve riduzione a circa 1.100/1.190 metri. La rimodulazione dello scalo permetterà di donare ampi terreni a Nord dello stesso che saranno ceduti alla Polizia per la creazione della “Città della Polizia” e all’AMAP. Sono stati effettuati degli studi sul possibile inquinamento acustico della zona, visto

lo scarso traffico previsto non supererà gli standard previsti dalla legge. In pratica la città potrebbe essere la prima in Italia ad essere dotata di un City-Airport, strutture che in Europa stanno avendo un discreto successo, piccoli aeroporti destinati al traffico a corto raggio, facilmente raggiungibili dal centro cittadino e dai tempi d’imbarco ridotti. I primi passi verso questo ambizioso progetto sono stati fatti infatti, a parte la trasformazione da aeroporto militare, sono stati spostati tutti i mezzi della protezione civile regionale come previsto da progetto e inoltre in questi giorni il comune sta lavorando per la costruzione della “Città della Polizia”. Sarebbe interessante la trasformazione in scalo low cost cittadino, differenziando l’offerta con l’aeroporto di Punta-Raisi, ma al momento la lunghezza ridotta della pista sembra non permetterlo. Noi naturalmente vigileremo sul progetto e vi avviseremo se ci saranno ulteriori sviluppi.



Scritto da Paco: paschy83@hotmail.com

L'imbarbarimento etico







Chi conosce l'art.54 della Costituzione?

L'art.54 chiude la Parte I ,sì proprio quella che reca i principi fondamentali, e ricorda - nel primo comma - che ogni cittadino è tenuto a rispettare la Costituzione e le leggi, ma poi aggiunge che chi ricopre pubbliche funzioni, oltre ovviamente a rispettare Costituzione e leggi, è tenuto ad adempierle “con disciplina e con onore “.


Sì, proprio così : la Costituzione - e non uno stravagante moralista o giustizialista – prescrive “disciplina e onore“ per quanti ricoprono pubbliche funzioni (il parlamentare, ma anche l'amministratore locale; il magistrato ma anche il docente, il medico e il poliziotto...).
Certo , trattasi di espressioni che appaiono” datate “, ma il messaggio è chiarissimo, prescrive - per pubblici funzionari - “un di più“ rispetto alla legalità.
E' in questo comma il richiamo costituzionale all'etica, a quella “ etica pubblica “, che è la grande assente nella vita politica, e non solo politica, italiana..
Accanto alle regole morali (del tutto individuali, collegate ad una concezione filosofica, ad una tradizione familiare , ad una fede...), accanto alle regole giuridiche ( per definizione universali e cogenti in forza della autorità della legge) ogni comunità ha bisogno di qualcosa di altro., di un insieme di regole e di comportamenti considerati cogenti e la cui violazione viene sanzionata, criticata , diviene criterio di valutazione ...ancorchè tale violazione non costituisca necessariamente un reato.
Ciò che va chiesto ai pubblici funzionari – in base ad una precisa disposizione costituzionale – non è , pertanto, se il loro comportamento è morale , non è soltanto se il loro comportamento è legale....Di più e altro : viene chiesto il rispetto di regole e comportamenti eticamente corretti.
Nei paesi civilizzati, viene censurato il far confusione tra pubblico e privato, il coltivare conflitti di interesse, organizzare in residenze adibite a ruoli istituzionali party e festini di ogni colore, coinvolgendo escort, minorenni e compagni di merenda. Sono comportamenti considerati eticamente non corretti e vengono sanzionati anche con l'allontanamento dei pubblici funzionari coinvolti, senza che venga in rilievo, ai fini della censura e della sanzione, se quei comportamenti configurano ipotesi di reato. Emblematica è la censura e la sanzione per i conflitti di interessi, censura e sanzione ricorrenti in paesi civilizzati, ancorché non vi sia una legislazione che li censura e sanziona ,” Non è reato, ma non si fa!”.

E' questa la grande importanza dell'art.54 .
Ignorano tale norma e tale importanza, quanti pubblici funzionari , criticati per i loro comportamenti , replicano dicendo :”Taci, moralista !” o “Attendo con fiducia l'esito del processo e il riconoscimento che non ho commesso un reato “.
Tutto chiaro? Sì!
Tutto semplice? No!
No, non è semplice affermare la etica nella vita pubblica di un paese. Non è semplice, perché la etica è convenzionale. La vigenza e cogenza di regole etiche dipende da convenzioni, dalla circostanza che esse vengono accettate dai consociati.
E' questa convenzione che manca nel nostro paese.
Di più e di più grave .
Da alcuni anni con il berlusconismo - che non è soltanto una persona - si sta costruendo una “etica incostituzionale e antidemocratica” , si stanno stravolgendo regole etiche precedenti e se ne stanno costruendo di altre che modificano la stessa Costituzione . Stili di vita e comportamenti che finiscono con il distruggere – anche quando non costituiscono reato – il lavoro come diritto, riducendolo in favore, la eguaglianza mortificata da impunità e privilegi di casta, il diritto di impresa distrutto da crescenti posizioni monopoliste e giganteschi conflitti di interesse.....
Accade , così ,che il potentissimo Governatore della Banca Federale di Germania si è dovuto dimettere per aver accettato da una banca privata tedesca – in violazione di un patto etico tra i banchieri :"tra noi non ci si scambiano doni” - il pagamento del conto di tre giorni in un albergo di Berlino. Si è dimesso , ancorché ricevere quel dono non costituisse reato.
In Italia , per citare esempi di berlusconismo non realizzato da Berlusconi, per liberarci da un Governatore della Banca di Italia “ eticamente analfabeta “ abbiamo dovuto attendere arrivo di Carabinieri e avvio di processi penali.
Per le regole etiche di un paese civilizzato non può restare al suo posto un Governatore della Banca Centrale che di notte parlando ad un operatore finanziario (criminale o non, nel caso sposta poco, anche se in Italia lo si fa con operatori finanziari criminali) al telefono, con frasi amichevoli,comunica di aver firmato la autorizzazione richiesta.
Per le regole etiche di un paese civilizzato, citando ancora un esempio di berlusconismo non realizzato da Berlusconi, non può, parimenti, restare al suo posto un Presidente della Regione, che discute di prezziari regionali in un retrobottega di un negozio di biancheria intima di un paese della provincia siciliana. E non occorre, per allontanare e costringere alle dimissioni quel Presidente della Regione che quell'imprenditore sia riconosciuto mafioso, come è stato riconosciuto mafioso l'imprenditore Aiello, e non occorre aspettare che quel Presidente della Regione sia condannato per aver favorito mafiosi, come poi il Presidente Cuffaro è stato condannato. Non è eticamente corretto (ancorché non necessariamente sia possibile configurare un reato) per un Presidente di Regione e per un imprenditore discutere di decisioni regionali pubbliche in un retrobottega.
Altro che “disciplina “, altro che “onore.”
Superfluo è ricordare il fiume in piena di comportamenti e messaggi che la attuale maggioranza utilizza per modificare sensibilità e regole etiche, producendo continui attentati al nostro sistema democratico e contribuendo, a monte e con la approvazione di una legislazione scellerata tutta protesa a garantire immunità e impunità, a determinare un crescente” imbarbarimento e analfabetismo etico”, che costituisce la essenza del berlusconismo

28 ago 2009

L’ultima beffa della ditta Pier&Silvio

PIOVONO RANE di Alessandro Gilioli


Il Giornale non ha dubbi: “Entro il 2012 tutti gli italiani dovranno passare al segnale digitale terrestre”. Testuale.

Una balla allucinante, pure un po’ minacciosa. Nessuno “deve” passare al digitale terrestre, perché esistono delle alternative (dal satellite all’Iptv), ammesso e non concesso che sia necessario seguire quella fabbrica di menzogne e omertà che sono le tivù italiane.

Però diciamo, per esempio, che chi ama il pallone ormai se lo deve vedere in tivù, perché tra “tessere del tifoso” e divieti di comprarsi più di un biglietto, andare allo stadio per una famiglia è cosa sempre più scoraggiata, come ha scritto benissimo Gianni Mura qualche settimana fa.

Questo guardarselo in tivù, si sa, passa per due possibili strade: l’abbonamento a Sky sul satellite o a Mediaset Premium sul digitale terrestre.

Nel 2005, appena nata, l’offerta di Mediaset era economicamente più vantaggiosa: bastava comprarsi il decoder del digitale terrestre - scontato, con il contributo dello Stato - e poi ciascuno poteva acquistare il match a cui era interessato a tre euro a partita.

Da allora il digitale terrestre è stato proposto e imposto in ogni maniera - grandi campagne pagate con i soldi dei contribuenti e balle indecorose come quella succitata del Giornale - e la situazione all’inizio del nuovo campionato è la seguente: per vedersi una partita su Mediaset Premium non basta comprarsi il decoder e pagare il match quasi triplicato (da tre a otto euro in meno di quattro anni) ma è obbligatorio anche sottoscrivere l’abbonamento a Gallery, vale a dire i quattro canali in Dtt di Mediaset, 12 euro al mese. Non ve ne frega nulla di Steel o di Joy e volete vedervi solo il calcio? Fatti vostri, la partita da sola non si può comprare.

In altre parole: prima hanno finanziato con i nostri soldi il digitale terrestre (contributi ai decoder, campagne stampa etc), poi hanno raccontato e continuano a raccontare che “tutti gli italani devono passare al digitale terrestre”, quindi hanno disincentivato con norme assurde l’acquisto dei biglietti per lo stadio, infine ci hanno obbligato a comprare anche l’integrale del Grande Fratello e della Fattoria per vedere le partite di pallone. Per completare l’opera, da un mesetto hanno tolto i canali satellitari della Rai dal pacchetto Sky e hanno riempito di buchi il palinsesto di chi seguiva la tivù di Stato su Sky, oscurando partite di calcio e gran premi “free”

Una schifezza perfetta, attuata congiuntamente da governo e Mediaset, da Palazzo Chigi e Cologno Monzese, insomma, dalla premiata ditta Pier&Silvio.

Buon campionato a tutti.

fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/08/27/lultima-beffa-della-ditta-piersilvio/

27 ago 2009

Il disastro mascherato dalla stampa di Sua Emittenza.

Cosa succede a L’Aquila? Visto che l’informazione da lì non arriva, e se arriva sembra talmente rosea da far pensare che ci sia stato un party di veline e politici quando la realtà è che c’è stato un terremoto che ha spazzato via un capoluogo e 49 paesi limitrofi, siamo andati a vedere di persona. E infatti no, la situazione non è affatto rosea come il nostro Premier ce la vende, forse nel tentativo di utilizzare il terremoto dell'Aquila come palcoscenico e trampolino di lancio per recuperare consensi.

Le tendopoli? Alcune, come quella di Coppito, risultano davvero ben organizzate. Abbiamo conosciuto un volontario di rara generosità, Paolo Zippilli, che ci ha fatto fare un tour guidato, illustrandoci la loro situazione, gestita al meglio nonostante le oggettive condizioni disperate. I disagi ed i problemi sono numerosi, ma i volontari ce la mettono tutta, instancabilmente. Assolvono ai loro compiti e a volte fanno anche di più. Ma non è così ovunque. C’è la tendopoli di Centi Colella che a fine luglio non aveva ancora le coperture per riparare le tende dal sole cocente, aveva i container dei bagni sporchi, con i lavandini intasati e i WC “alla turca” (ovvero senza il water). Gli anziani invalidi parcheggiati tutti, nessuno escluso, in tende che già alle 10 del mattino erano bollenti! Le famiglie presenti lamentavano il forte e insopportabile caldo, la mancanza di un supporto psicologico, il pranzo e la cena spesso freddi e immangiabili e, cosa assurda, non avevano nessuna notizia di ciò che accadeva a L’Aquila se non attraverso la tv. Abbiamo chiesto loro se sapevano che bisognava presentare la domanda documentata con il progetto per la richiesta per la ristrutturazione della propria abitazione inagibile o distrutta. A un mese dalla scandenza del termine, l'8 settembre, non ne sapevano nulla! Si è fatto chiaramente in modo da non informare chi non si è informato autonomamente! Il responsabile del campo, il cosiddetto Capo Campo, notando la nostra presenza e vedendo che parlavamo con gli “ospiti” delle tende ci ha cacciato fuori minacciando di denunciarci, alzando il tono della voce e intimando di non tornare in quel luogo. Il responsabile era lui e non doveva rendere conto a nessuno del suo operato. Pensava lui a tutto e ovviamente per lui non esistevano problemi. Ci ha ricordato i Kapò d’altri tempi.

Molti dei terremotati sono ignari di ciò che sta accadendo davvero. Sono convinti che prima o poi verrà qualcuno a dire: “signori, le case sono pronte, vi dò gli indirizzi e le chiavi della vostra". Ma i termini della richiesta, come già detto, stanno scadento. Pochi lo sanno. Pochi sanno che si può scegliere una tipologia di risarcimento fra tre opzioni diverse:
  1. Il denaro lo anticipa il proprietario, e potrà recuperarlo in 20 anni deducendolo attraverso la dichiarazione dei redditi. Esiste ovviamente un problema di “capienza” nel senso che non tutti pagano tasse così elevate da poter recuperare le somme ingenti necessarie alla ricostruzione. Inoltre si anticipa denaro che oggi ha un valore che tra venti anni l’inflazione avrà dimezzato. Figuriamoci poi se chi ha avuto bisogno della tenda ha a disposizione i soldi da anticipare, sempre ammesso che un giorno uno stato con 1750 miliardi di debito pubblico possa davvero renderli.
  2. Un mutuo agevolato che attualmente non è operativo in nessuna banca, in quanto non è stato ancora raggiunto un accordo fra Cassa Depositi e Prestiti e banche per la creazione di un pacchetto mutui “ad hoc”, nè esiste ancora la copertura finanziaria per tale operazione. Tra l'altro, molti aquilani stanno pagando rate dei mutui contratti prima del terremoto per l'acquisto delle loro case, e sono in tanti quelli che pagano ancora l'affitto di una casa dove non possono più abitare.
  3. Un contributo diretto, ma secondo modalità che il CIPE ( Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica ), ancora non ha definito. La stessa Protezione Civile dice che occorre valutare se questo contributo possa venire erogato entro 5 anni. Ma nel frattempo, le case chi le ripara?
Insomma, le solite illusioni, le solite prese per i fondelli, le solite porcate a cui gli italiani, ed ora anche il mondo intero, sono abituati. Nel 2009 i fondi disponibili per la riparazione o per la ricostruzione delle case sono pari a zero! Così è scritto nella tabella allegata alla Legge 77/09 che scandisce fino al 2032 i fondi e le loro destinazioni. Questo mentre Berlusconi, per dimostrare che avrebbe risolto tutti i problemi in tempi record, orgogliosamente RIFIUTAVA un'offerta di aiuto da parte degli stati esteri. I soldi non c'erano ma lui, tra uno champagne e una mademoiselle, ha ugualmente rifiutato.

Gli appartamenti del Progetto C.A.S.E., in costruzione a L'Aquila - le cosiddette case antisismiche che si vedono sempre in televisione - possono essere costruite in deroga alla vigente normativa sanitaria. Così recita sempre la Legge 77/09. Non sono previste né comprese all'interno di alcun piano urbanistico, sono tutte annunciatamente illegali già per contratto. Tutte uguali, tutte identiche. Non sono previsti servizi sociali (scuole, spazi culturali, sportivi, verde attrezzato, strade, ecc.). Il mobilio che ciascun aquilano possiede non potrà essere utilizzato nei nuovi appartamenti, ma sarà destinato allo stoccaggio e conservato a tempo indeterminato presso i magazzini dell’interporto di Avezzano. Chi è il beneficiario dei noleggi dei magazzini? Chi altri deve arricchirsi alle spalle degli aquilani? Quanta speculazione dovrà esserci ancora intorno a questa disgrazia? Se proprio si doveva pagare il noleggio di questi depositi, non era il caso di farlo a vantaggio di qualche aquilano? C’è gente che specula sulla morte, sulle disgrazie, sulla povertà e sulla disperazione.

La constatazione più amara è che nessun aquilano ha diritto ad esprimere la propria opinione in merito al proprio futuro. Gli enti locali (regione, provincia, comuni, Asl e così via) sono estromessi da qualunque possibilità non solo di poter decidere o scegliere, ma anche di poter verificare la bontà delle scelte della Protezione Civile, la regolarità dei provvedimenti o la valutazione dell'impatto ambientale e dei rischi pericolosi che questi agglomerati urbani in costruzione, anomali, irregolari e improvvisati, potranno avere nel prossimo futuro della città dell'Aquila. Con il suo sistema di gestione militare totalitario e presuntuoso, la Protezione Civile sta mettendo in serio pericolo il futuro degli aquilani. Senza specifiche competenze tecniche e territoriali, doveva occuparsi solo dell'emergenza, come è successo per altri eventi catastrofici precedenti. Evidentemente a qualcuno conviene che lo stato di emergenza persista. Uno stato di emergenza è una miniera d'oro. Per chi? Per chi ha in appalto le varie forniture. Dietro ogni decisione, dietro ogni maceria, dietro ogni cadavere qualcuno sta guadagnando spudoratamente. Basti pensare che lo Stato ha preferito far arricchire gli alberghi, pagando 48 euro a persona al giorno, invece di requisire case sfitte a 400 euro al mese. Facendo un rapido calcolo, 48 euro per trenta giorni fanno 1440€ al mese. Per ogni famiglia di 4 persone lo Stato, cioè noi, paga 5760€ al mese invece di 400! Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro. La Protezione Civile è stata politicizzata. Il Premier sembra aver appositamente studiato un sistema infallibile per gestire in prima persona la situazione sopratutto, come è ovvio, dal punto di vista economico e finanziario, quello che sta tanto a cuore a strutture mafiose e criminali.

Vogliamo parlare del lavoro? Ottomila sono gli aquilani che sono rimasti senza. Hanno la cassa integrazione prorogata fino al 10 agosto. Qualche giorno fa sono state stanziate ulteriori risorse che forse consentiranno di arrivare a dicembre. Il terremoto afferma il principio che c’è un Re, che a sua discrezione elargisce risorse e possibilità. Non ci sono diritti da tutelare per legge, ma atti unilaterali del Governo. Eppure Silvio Berlusconi, nel regno incontrastato delle sue televisioni, aveva assicurato che mai avrebbe abbandonato i lavoratori aquilani al loro destino! La realtà invece è un'altra: in un’area dove migliaia di imprese non potranno più materialmente operare per anni, non vi è una concreta azione per il rilancio dell’economia. Cosa succederà a chi è rimasto senza lavoro e ha una famiglia di cui occuparsi?

L'Aquila continua a tremare. Le scosse, numerose tutti i giorni, continuano inesorabili, anche oltre il 4° grado della scala Richter. Intanto il Cavaliere continua ad affermare che va tutto bene. Le tv e la grande stampa nazionale, ad eccezione di Repubblica e pochissimi altri, continuano a rimanere in silenzio, conniventi e collusi con gli interessi di chi vuole lucrare sulle disgrazie degli aquilani: cosche mafiose, imprenditori senza scrupoli, finanzieri accomodanti, ditte e fornitori coinvolti nell'arrembaggio al denaro facile...
Ora si comprende meglio il senso della legge che imbavaglia la stampa, perlomeno quella ancora libera. E si comprende parimenti la necessità di aggredire la rete, quell'insieme sommesso di voci dissonanti in costante aumento, ogni giorno di più, che devono essere zittite. Solo qui potrete leggere con chiarezza che L’Aquila era da considerarsi a “rischio uno”. Il più forte. Questo avrebbe costretto le ditte costruttrici ad investire maggiori risorse economiche per avere edifici a norma. E solo qui potrete leggere che fu proprio Berlusconi, nel 2003, a decidere che L’Aquila fosse a “rischio 2”, permettendo oggi allo Stato di risarcire solo l'80% delle spese sostenute per la riparazione delle abitazioni.

Oltre 305 persone assassinate da un'edilizia disinvolta! Oltre 100.000 disperati sui quali speculare! Eppure c’è ancora gente che dice “Lui ci ha promesso le case, non ci lascerà e se ci darà le case lo voteremo di nuovo”.

Quelle che avranno non saranno case ma bettole illegali che, lungi dall'essere provvisorie, saranno eterne.


Benedetti Marie Helene
5 agosto 2009

26 ago 2009

In difesa dei diritti del pubblico


E’ ormai ufficiale. La tanto temuta scure inserita nel decreto anti-crisi del ministro Tremonti (112/2008) si è abbattuta sul FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo.
l FUS è un fondo finanziario che lo Stato stanzia a favore di Enti Lirici e Musicali, della Danza, del Cinema e della Prosa; nella finanziaria del 2009 subirà un taglio di oltre il 30% , passando da 567 a 378 milioni di euro. E il progetto di tagli non si ferma qui: sono già stati anticipati quelli per i due anni successivi (400 contro 563 per il 2010, e 307 contro 511 per il 2011) che porterebbero a 550 milioni di euro il totale degli investimenti evaporarti.
Il FUS sostiene gran parte della produzione culturale italiana, ed in particolare per il cinema è forse l’unico modo di realizzare un’opera prima, nonostante solo una piccola percentuale del fondo sia destinato a questo scopo (ex art. 8).
Gli effetti di questi tagli saranno molto pesanti a livello occupazionale, infatti si prevede una ulteriore diminuzione delle pellicole prodotte, oltre alla chiusura di cinema, teatri, compagnie di danza ed altri eventi culturali.
L’associazione 100 autori, nelle cui schiere compaiono notissimi nomi del cinema e della televisione, è da mesi impegnata nell’opporsi a questi tagli barbari alla cultura.
Invitiamo chi ama il cinema, chi lo studia, chi lo fa o vorrebbe farlo, a sostenere lo sforzo di 100 autori partecipando agli eventi di protesta e facendo (contro)informazione per una causa che riguarda tutta la società, non solo chi lavora nello spettacolo.

PER SAPERNE DI PIU': http://www.100autori.it

Padana ignoranza - di Roberto Cotroneo

La tendenza è prenderli in giro. Stabilito che ormai, ogni giorno che passa, la Lega si inventa una scemenza nuova, c'è la tentazione di buttarla sul ridere. L'ultima viene dal ministro leghista Luca Zaia, che vuole gli stemmi delle regioni e dei comuni sulle magliette delle squadre di calcio italiano. Per valorizzare il territorio. Eccerto. E poi vuole anche un'altra cosa: il tg regionale condotto in dialetto del luogo e non in italiano. Molto interessante. Uno si chiede: perché? Ma soprattutto: come gli viene in mente? Gli viene in mente perché la Lega è un partito arcaico e lontano dalla modernità. Un partito fatto da gente che ha paura, e ha paura perché non capisce, perché non ha strumenti per evolversi, perché sono ignoranti, perché hanno diffidenza verso il diverso, il diverso da loro, e quindi lo vogliono espellere dalla comunità. Il leghismo è una forma di razzismo imploso. Non è il razzismo di chi pensa di essere superiore agli altri, ma è il razzismo di chi ha paura che ti portano via quello che è tuo, è il razzismo del chiudiamoci nel paesello e difendiamoci da tutti. E rimaniamo immobili e non facciamoci notare.
La patria del leghista, lungi dall'essere l'Italia, non è neppure la padania, come sostengono loro. Il leghista ha una patria che alle volte non supera i duemila metri quadri della frazione in cui vive. Il leghista diffida di meridionali e stranieri perché in realtà diffida già di quelli del paese accanto, a un chilometro di distanza, e anche quelli sono diversi, perché parlano un dialetto che non assomiglia al proprio, e soprattutto perché sono quelli del paese accanto. Il leghista si unisce con il paesano del paese accanto solo se trova i Tartari fuori dalle mura. Solo se si inventa un nemico più grande, perché quelli che hanno una mentalità del genere diffidano di tutti. Persino delle loro famiglie. Il leghista che vuole film e ora telegiornali in dialetto per la verità non sa cosa sia il dialetto. Sa cosa è il suo dialetto, ma non immagina, o finge di non sapere, che il suo dialetto ha una portata territoriale di qualche chilometro, forse qualche decina di chilometri, perché poi il dialetto cambia, e alle volte da un paese all'altro neanche ci si capisce. Il leghista non vuole il federalismo, vuole la piccola patria, non è contro l'unità d'Italia, è contro i meridionali, innanzi tutto. Vuole l'autonomia e la valorizzazione regionale non per una missione culturale, ma perché può tirare su un muero altissimo e convivere con la propria ignoranza. E poi lo stemma comunale sulle maglie dei calciatori. Come se il calcio avesse bisogno di appartenenze, come se non si sapesse che a Torino la Juventus è seguita certo, ma che ci sono più juventini al sud piuttosto che al nord. Altro che stemma comunale. Le squadre sono il cuore dei tifosi, non l'appartenenza a una città. Padana ignoranza...

22 ago 2009

E adesso su Internet scoppia la guerra delle playlist

La Riaa denuncia il sito Playlist.com, mentre il fenomeno si diffonde tra gli appassionati di musica.


Sotto molti aspetti le playlist sono l'essenza della musica. O perlomeno, l'essenza "soggettiva" della musica: la colonna sonora della propria storia e delle proprie emozioni di ascoltatore. Per questo hanno avuto un ruolo sempre fondamentale, anche in epoca pre-digitale.

I figli del '68 (intesi come la generazione nata dal '68 in avanti) si ricorderanno di sicuro le ore trascorse a confezionare audiocassette, a volte destinate a un ascolto privato, più spesso concepite per conquistare o cercare di condividere emozioni con una persona amata. Appassionanti e sfibranti battaglie contro i 46, 60 o 90 minuti di durata dei nastri, nei quali bisognava far stare tutto ciò che si voleva comunicare, rispettando un determinato ordine, un determinato significato.

Nel 2002 lo scrittore inglese Nick Hornby ha tradotto su carta il sacro sentimento della playlist nel libro 31 canzoni e la diffusione dell'MP3 e delle nuove tecnologie ha reso ancora più semplice e naturale un ascolto musicale basato sulla compilation di canzoni diverse, piuttosto che sull'album del singolo artista.

Era ovvio che prima o poi anche Internet si sarebbe accorta del fenomeno e avrebbe deciso di cavalcarlo con qualche servizio interattivo. Negli ultimi mesi ne sono nati parecchi: l'onnipresente muxtape, mixwit (il mio preferito, con quell'adorabile interfaccia a forma di audiocassetta), imeem, playlist.

A conferma della naturale inclinazione che noi tutti proviamo nei confronti delle playlist, i servizi hanno preso piede con grande naturalezza. Migliaia di utenti hanno sentito il bisogno di costruire la propria playlist e di condividerla con gli amici. Questi servizi hanno offerto loro gli strumenti necessari per farlo, oltre alla possibilità di andare a setacciare l'immenso archivio musicale della Rete

Ma non tutti sono contenti di questo successo. Perchè se una delle prerogative comuni a muxtape e compagni è la loro semplicità d'uso (nello stravolgere e aggiornare la nostra fruizione musicale, le nuove tecnologie e Internet hanno svolto un lavoro incredibile), l'altra è la disinvoltura con cui questi siti hanno permesso agli utenti di utilizzare brani protetti dal diritto d'autore. Le canzoni non sono caricate direttamente online dai siti in questione, ma vengono reperite su blog, archivi pubblici e altri siti dove, nella maggior parte dei casi, sono rese disponibili senza autorizzazione.

Per questo è arrivata la reazione dell'industria discografica. Lunedì la RIAA, l'associazione delle etichette musicali americane, ha denunciato il sito playlist.com, accusandolo di consentire la riproduzione di opere protette da copyright. Il sito permette anche di inserire le compilation su pagine MySpace e Facebook.

A dieci anni da Napster, sembra che il gioco sia sempre lo stesso. Su Internet nascono dei nuovi servizi musicali che - spesso in barba alle tradizionali norme sul copyright - vanno a intercettare esattamente i desideri degli utenti e per questo ottengono un successo clamoroso. Le case discografiche (soprattutto la RIAA) reagiscono seguendo le vie legali. A volte i siti e i servizi sono costretti a chiudere (Napster), a volte stringono accordi con le major (YouTube), a volte sopravvivono senza troppi problemi (il protocollo BitTorrent e il P2P in generale) a volte fungono da ispirazione per future realtà commerciali di successo (iTunes).

Vedremo come andrà a finire con playlist.com. Certo è che anche dal settore delle playlist potrebbero nascere interessanti idee di mercato. Anche per i singoli artisti. Pensate già solo a un sito in cui un artista o una band permette al fan di creare il proprio album preferito (scegliendo personalmente le canzoni) e poi magari glielo stampa e spedisce su un cd autografato. O a quello che potrebbero fare le major con i loro immensi cataloghi.

Da un altro punto di vista, il boom dei vari muxtape, mixwit o playlist.com contribuisce anche a demolire il mito del "download" come vocabolo necessario per la distribuzione musicale online. Tutti i servizi citati permettono solo l'ascolto in streaming: non si scarica niente. A dimostrazione di come nella fruizione della musica spesso non sia tanto importante il possesso, quanto la piacevolezza (e la personalizzazione) dell'esperienza. A maggior ragione nella Internet "always on" dei nostri giorni.

Aggiornamento (30/4/2008, ore 10.11):
Secondo quanto riporta Silicon Alley Insider, c'è una major che non si è unita alla battaglia legale contro Playlist.com. E' la SonyBMG, che starebbe seguendo la via più m0rbida del negoziato.

Luca Castelli su "La Stampa.it"

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Il perchè di questo articolo è presto detto, vi sarete senz'altro resi conto che oramai è svariato tempo che la playlist musicale che accompagnava il tempo delle vostre letture sul mio blog non funziona e che a tale problematica ho cercato vari rimedi, ho girato e rigirato internet in lungo e in largo ma a quanto pare si continua ad approfittare dei regolamenti sul copyright in maniera sempre più oppressiva e stupidamente restrittiva, sono purtroppo svaniti i tempi in cui le stesse case discografiche, consapevoli dell'utilità delle cassettine pirata a scopo divulgativo, permettevano la diffusione delle loro canzoni e che per contrastare il calo delle vendite tendevano ad offrire un servizio sempre migliore magari in qualità sonora o ancora con varie brochure ben fatte e riempitivi quali i testi delle canzoni e splendidi book fotografici.

Adesso tutto sta in mano a gente senza scrupoli che pur di vendere due copie in più fanno guerre legali, utilizzano avvocati, cercano condanne per farsi risarcire di danni che non meriterebbero neppure dato che la maggior parte della loro discografia di scarsissimo livello non venderebbe neppure una copia se non fosse per l'estenuante pubblicità interattiva che certi siti vi regalano.

Continuando quindi a vederli affondare e ad utilizzare tali mezzucci per continuare a campare, richiedendo cifre da capogiro, ai su citati siti, per aver permesso a qualche utente di ascoltare della musica senza neppure redistribuirla e soprattutto senza alcuno scopo di lucro ci auguriamo che questi metodi da titanic autolesionisti e meschini si sbrighino a far piazza pulita di case come la RIAA che tutto sono fuorchè case di produzione artistica a mio personale avviso, direi che possono essere più che altro definite quali monopolisti musicali dai quali persino gli artisti stessi dovrebbero scappare per loro stessa incolumità artistica.

_DANCER_

INAUGURAZIONE D.A.F Dance Arts faculty 19-20 settembre 09


DAF – Dance Arts Faculty
presenta:
“DAF Opening Classes”
19 e 20 Settembre 2009
presso il LANIFICIO 159 a Roma


In occasione dell’apertura del D.A.F. – Dance Arts Faculty – Progetto Internazionale di Danza e Arti Performative, presso il LANIFICIO 159 a Roma, allievi e professionisti avranno l’opportunità unica di conoscere parte della proposta didattica del centro attraverso Opening Classes distribuite nell’arco delle giornate del 19 e 20 Settembre.

Docenti e coreografi attivi in campo nazionale ed internazionale e realtà affermate nel panorama della danza italiana come la Spellbound Dance Company, si alterneranno in miniclassi di 45 minuti in cui sarà possibile sperimentare la varietà e l’eterogeneità della danza, intesa come forma espressiva trasversale, anche in termini di sbocchi professionali futuri.

Con una quota di iscrizione di soli 30,00 €, sarà possibile accedere alle 12 lezioni “DAF Opening Classes” del 19 e 20 Settembre.
Le classi sono a numero chiuso.
Obbligatoria la prenotazione tramite mail all'indirizzo danceartsfaculty@libero.it

In un’ottica di complementarietà, in cui ogni settore sostiene l’altro, si è scelto di non focalizzare la propria attenzione su questo o quello stile di danza, al contrario di approcciare l’arte coreutica a 360°, stimolando l’attenzione degli allievi su più fronti.
Tutto questo garantendo un livello qualitativo ineccepibile, con il coinvolgimento di alcuni tra gli esponenti migliori di ogni disciplina, i quali vantano tutti una forte esperienza, oltre ad essere artisti attualmente in attività nelle più importanti realtà professionali del mondo. Tra i docenti, due ospiti internazionali, a testimoniare i continui rapporti di collaborazione consolidati nel corso degli anni dal direttivo DAF.

Partendo dalla danza classica, base fondamentale per qualsivoglia stile di danza, fino alla ricerca e sperimentazione del contemporaneo, passando per modern e modern-jazz. Tre macrocategorie per garantire una corretta formazione ed un consolidato know-how ai professionisti di domani.

Dalle ore 14,45 alle 20,30 del 19 Settembre, e dalle 10,00 alle 18,00 del 20, si articoleranno sei “opening classes” al giorno di classico, contemporaneo e modern.

Le lezioni avranno luogo in parallelo ad altre attività d’Arte integrate alla Danza come Mostre fotografiche, Installazioni video, Opere in digitale, Attività creative per Bambini, Attività del “Lanificio 159” e lezioni organizzate da “Urbans Arts Project” quale dipartimento Hip Hop.

Durante la giornata verranno presentati i corsi dei vari Dipartimenti e i relativi Docenti:

Dipartimento Modern-Contemporaneo
Modern-Contemporary department
MAURO ASTOLFI

Dipartimento Classico
Classic department
CLAUDIA ZACCARI

Dipartimento Musical
Musical department
FLAVIA ASTOLFI

Dipartimento Canto
Singing department
FABRIZIO PALMA

Dipartimento Hatha Yoga
Hatha Yoga department
ADRIANA DE SANTIS

Dipartimento Arti Sceniche,Cinema e Nuovi Media
Scenic arts,Cinema and New Media department
ENZO ARONICA

Tutti coloro che parteciperanno alle “Opening Classes” che si terranno al primo piano, saranno invitati a:

- video installazioni e opere in digitale a cura di Enzo Aronica

- mostra fotografica di Cristiano Castaldi

- “Opening Gala” spettacolo di chiusura della giornata inaugurale organizzato da Dance Arts Faculty e Urbans Arts Project al primo piano
Il 19 Settembre a partire dalle 21,45.

-Seguirà dalle 23,30 la serata organizzata dal “Lanificio 159” Dj Set al piano inferiore

...e altre Attività in via di definizione...

Per informazioni contattare:
D.A.F. Dance & Arts Faculty PROGETTO INTERNAZIONALE DI DANZA E DI ARTI PERFORMATIVE
Mobile
+39-3939162871 danceartsfaculty@libero.it
www.danceartsfaculty.it

20 ago 2009

Torna il nucleare in Italia. Che smantella le vecchie centrali


Con 154 voti a favore, un solo contrario e un astenuto, il Senato ha dato il definitivo via libera al “Ddl Sviluppo”: l’Italia dopo 22 anni torna nel nucleare. Questa la novità più rilevante di una legge che ha impiegato quasi dieci mesi per completare il suo percorso, ha passato quattro “letture” parlamentari, ha attraversato 60 sedute in commissione e altrettante in aula tra Camera e Senato, ha affrontato l’esame di oltre 2.800 emendamenti.

Entro sei mesi sarà decisa la normativa per la localizzazione delle nuove centrali nucleari e per i sistemi di deposito e stoccaggio dei rifiuti radioattivi: a gestire il ritorno dell’atomo sarà l’Agenzia per la sicurezza nucleare (Asn). Solo allora si potrà cominciare a piazzare le bandierine dei possibili siti sulla carta geografica. Sarà una fase di intenso mercanteggiamento con le autorità e le comunità locali, ma i margini di manovra sono ristretti anche dalla particolare conformazione geologica e costiera italiana. Si può partire dalla mappa dei possibili siti che il Cnen (poi diventato Enea) disegnò negli anni ‘70. Anche se, annuncia il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola: “Una commissione di dieci autorevoli esperti è al lavoro da dieci mesi e sta producendo buoni risultati. Ho ricevuto numerose richieste di amministrazioni locali che hanno dato disponibilità all’insediamento di centrali nucleari”.

Sui nomi vige il segreto assoluto. A parte le candidature abbozzate ma poi nei fatti ritirate, come quella del Governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo. Se ne può parlare, aveva poi precisato Lombardo, ma solo a determinate condizioni: solo se i siciliani saranno d’accordo, esprimendo la loro opinione “con un referendum”, se la costruzione “conviene dal punto di vista costi-benefici” e se si tratterà di “una centrale assolutamente sicura”.
Nel maggio scorso, si faceva anche riferimento alla Sardegna, dalle parti di S. Margherita di Pula a sud. Alla Puglia, sulla costa di Ostuni. Lungo il Po, dal vercellese fino al mantovano, dove già esistevano le centrali di Trino e di Caorso.

L’obiettivo del governo è di arrivare a coprire il 25 per cento del fabbisogno nazionale, allentando la fame di petrolio della penisola: l’Italia è il settimo importatore al mondo di petrolio (qui i dati in pdf).
Secondo il memorandum d’intesa tra Enel e la francese Edf, la prima centrale nucleare nazionale diventerà operativa per il 2030: è prevista, inoltre, la costruzione di altri tre impianti. Per quella data si stima che la spesa nel mondo per i reattori arriverà a mille miliardi di dollari: un affare d’oro, quello della corsa verso il nucleare civile.

Gli impianti italiani saranno sviluppati da una società d’oltralpe, Areva (controllata indirettamente dall’Eliseo al 90 per cento): saranno centrali Epr (European pressurized reactor) in grado di garantire 1600 Megawatt. Si tratta della terza generazione di impianti nucleari: rispetto alle precedenti, è differente il sistema di raffreddamento e garantisce standard di sicurezza più elevati. Areva costruirà undici dei 41 impianti in cantiere nell’Unione europea, dove il 27 per cento dell’energia arriva dall’atomo (qui i dati): il primo progetto di Epr in fase di realizzazione, l’impianto finlandese di Olkiluoto, sarà consegnato con un ritardo di tre anni e spese lievitate del 25 per cento.
Ma la corsa verso l’atomo è ripresa, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: secondo la Wna, sono 180 i reattori che potrebbero essere conclusi nei prossimi otto anni (qui la mappa in pdf). E sono stati avanzati progetti per altri 282.

L’Italia, intanto, chiude il vecchio capitolo del nucleare. E inizia lo smantellamento delle quattro centrali chiuse dopo il referendum del 1987 (qui i dati). La prima sarà Trino, in provincia di Vercelli, dove sono stoccate 14 tonnellate di materiale radioattivo. Il via libero definitivo arriverà entro sei mesi e la procedura sarà conclusa nel 2013. Ma la comunità locale è attenta: di recente i volontari dell’associazione ambientalista Greenpeace hanno manifestato. E il presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, ha dichiarato che non ospiterà nuovi impianti. Sono altri tre i reattori che attendono lo smantellamento, costruiti tra gli anni Sessanta e Settanta: Latina, Garigliano (Caserta) e Caorso (Piacenza).

Il dossier scorie radioattive, invece, è ancora aperto. Il generale Carlo Jean, in un’audizione del 2003 in Parlamento, aveva dichiarato che erano 58mila i metri cubi di sostanze radioattive presenti in Italia, custodite anche in impianti per il trattamento del combustibile e in centri per la ricerca scientifica (per esempio, Saluggia, Rotondella-Trisaia, Bosco Marengo, Roma-Casaccia: qui il report di Legambiente). E ogni anno se ne aggiungono 500 tonnellate provenienti dalle strutture sanitarie.

Negli ultimi anni parte del materiale ha preso la rotta dell’estero, affidato a società specializzate nel trattamento: la Energy Solutions, per esempio, ha richiesto una licenza per importare dall’Italia ventimila tonnellate di “materiale potenzialmente contaminato”.
Ma il governatore dello Utah (lo Stato che doverebbe ospitare le scorie trattate) si è opposto.
Negli allegati alla domanda presentata alle autorità federali, vengono indicati come luogo di provenienza otto siti italiani: Trino, Caorso, Garigliano, Latina, Saluggia, Bosco Marengo, Casaccia e Trisaia.


(fonte Panorama)

9 ago 2009

In vendita le isole dell'arcipelago Brioni. Un sogno da due miliardi e mezzo di euro di: FERRUCCIO SANSA

Le 14 isole custodiscono antichi tesori: impronte di dinosauro di 100 milioni di anni fa, un abitato fortificato del XVI sec a.C, la Villa romana di Verige (II sec. a.C.), il castrum romano e la chiesa della Madonna (Vi sec. d.C.)
Ogni mare ha un suo profumo: a Brioni è quello di rosmarino selvatico, pini marittimi, eucalipti e ulivi. Li senti prima di vederli. Ogni mare ha un colore: in questo arcipelago a pochi chilometri dalla costa istriana è di un blu più profondo del cielo. I raggi del sole penetrano come lame nell’acqua cristallina. Poi arrivi all’isola, una striscia verde smeraldo lunga cinque chilometri, un ricamo di golfi e di calette, e pensi: ecco, questo è il Paradiso. Ora il paradiso sta per andare all’asta: basta avere un miliardo e duecento milioni per garantirselo. E con due miliardi e mezzo si prende l’arcipelago di 14 isole.

Borse, finanza, difficile immaginare parole più lontane da questi luoghi. Eppure la crisi rischia di cambiare la storia della Polinesia dell’Adriatico: una volta ci pensarono i romani. Adesso il nuovo conquistatore è il mercato. La Croazia, come tanti altri stati, è in crisi nera: l’adesione all’Ue arranca, il Pil è calato del 5% in un anno, gli investimenti stranieri si sono dimezzati (- 42% nel 2009). Così, come ha raccontato il quotidiano «Il Piccolo», per dare ossigeno alle casse dello Stato, intenderebbe vendere i suoi gioielli. Zagabria si appresta a cedere demanio forestale, fonti di acqua potabile, oleodotti, compagnie assicurative, enti energetici, ferrovie. E in cima alla lista anche Brioni e il suo arcipelago, patrimonio finora in mano pubblica.

Per comprare l’isola ci vorrebbero dieci jackpot. C’è allora chi si immagina un magnate russo pronto ad aggiudicarsi l’asta. Ma poi che ne sarebbe di Brioni? Qualcuno ipotizza un’operazione turistica extra-lusso, chissà, però, se l’acquirente si accontenterebbe degli edifici attuali che si contano sulle dita di una mano. Difficile, prima di sborsare 1,2 miliardi probabilmente pretenderà di liberare l’isola dai vincoli del parco naturale. Ma nessuno può escludere che il nuovo proprietario del paradiso decida di chiudere i cancelli e di goderselo in esclusiva. Brioni e il suo arcipelago sono un continente racchiuso in 7,4 chilometri quadrati. Cammini per i prati che finiscono in mare e trovi tracce di dinosauri. Superi un golfo e ti imbatti in un villaggio dell’età del Bronzo. Se arrivi a Val Catena, diresti di essere a Pompei: colonne dell’antica villa romana, resti del castrum del primo secolo avanti Cristo.

Troppa bellezza, perché il potere non la volesse per sé. Era la fine dell’800 quando Brioni divenne l’isola di Kupelwieser, il magnate austriaco dell’acciaio, che la comprò, cacciò la malaria, ne fece la spiaggia più esclusiva dell’impero. Sulla riva incontravi principi e arciduchi austriaci e poi lui, Paul Kupelwieser: «Un gran cacciatore, di donne e animali. Girava l'isola con i calzoni alla zuava di velluto, la giacca di camoscio e l'immancabile fucile», racconta nei suoi diari Laura Dronigi, che in quegli anni era una bambina e viveva sulla riva del mare. Brioni doveva essere un piccolo Eden personale dove raccogliere le meraviglie del mondo: cervi, daini e mufloni correvano liberi nei prati. Pavoni, aironi e cicogne nere in volo sulla spiaggia. Poi c’è Koki, il pappagallo di Tito. Il Maresciallo è morto, la Jugoslavia si è disgregata, ma il rarissimo pennuto bianco, arrivato a 52 anni, abita ancora qui.

Già, dopo una breve parentesi italiana (qui passò re Umberto), il comunismo si lasciò affascinare dalla bellezza dell’arcipelago e ne fece uno dei suoi simboli. Tito, racconta la leggenda, la prima volta giunse in barca a remi nel 1947, si stabilì in una tenda. Poi, sedotto dall’isola, si fece costruire Villa Vanga, e Brioni diventò off-limits per i comuni mortali. Un rifugio inaccessibile, con tre residenze immerse nel verde: Bijela, Bionka (per i leader stranieri), ma soprattutto la Jadranka, dove si dice Tito facesse le sue feste, ospitasse le amanti. A quei tempi gli incontri segreti dei potenti non superavano gli spessi muri di una villa. Di quegli anni restano solo le foto ufficiali, quando Brioni era uno dei centri della diplomazia internazionale: qui, guardando l’Adriatico, Tito e altri potenti della terra diedero vita al blocco dei paesi «non allineati». Dai motoscafi scesero il presidente vietnamita Ho Chi Minh e gli egiziani Nasser e Sadat. E ancora l’indiana Indira Gandhi, il re cambogiano Sihanouk. Qui sui prati, dove oggi si incontrano i pochi turisti, camminava Nikita Krusciov quando il mondo visse l’illusione del disgelo tra Urss e Stati Uniti. Aldo Moro fu uno dei pochi politici occidentali ammessi.

L’antica Roma, Venezia, l’Austria e il Comunismo, di cui restano soltanto i nomi. Il mondo oltre il mare è un altro, ma Brioni è rimasta miracolosamente la stessa. Finché qualcuno non staccherà l’assegno da un miliardo di euro.

4 ago 2009

AIUTIAMO IL RIALTO SANTAMBROGIO A TORNARE PIù FORTE DI PRIMA...


LA CULTURA INDIPENDENTE NON SI ARRESTA



A tre mesi dal sequestro preventivo del 20 marzo 2009 di quasi tutti
gli spazi legittimamente assegnati dal Comune di Roma all’Associazione
Rialtoccupato, arriva l’ampliamento del sequestro anche alla sala
teatro e al cortile interno. Con questa ennesima azione di Polizia si
tenta di chiudere definitivamente il progetto culturale del Rialto.



Nel corso di 10 anni di attività tutti gli spazi del Rialto hanno
accolto una quantità enorme di artisti, che hanno messo in scena
spettacoli, video proiezioni, arte contemporanea, concerti. Soltanto
considerando l’attività teatrale, il Rialto ha ospitato un numero di
compagnie tre volte superiore a quelle presentate mediamente dai
teatri istituzionali.

In questo vasto panorama di artisti romani, italiani e stranieri, sono
passate molte realtà che oggi ricoprono un ruolo di primo piano nella
scena nazionale, come Ascanio Celestini, Massimiliano Civica, Davide
Enia, Roberto Latini, l’Accademia degli Artefatti. Altri, già forti di
un lungo percorso internazionale, come Giorgio Barberio Corsetti o
Fanny & Alexander, hanno scelto di portare il loro lavoro in una ex
palestra di sei metri per sei perché riconoscevano in quel luogo uno
spazio vivo della cultura contemporanea a Roma. I nomi di punta della
scena emergente, dai Santasangre ai Pathosformel, da Daniele Timpano a
Babilonia Teatri, da Lucia Calamaro ai Muta Imago, sono passati tutti
dal teatro del Rialto, e in qualche caso è proprio nel complesso del
Santambrogio che hanno creato i loro spettacoli.

Questo immenso patrimonio di esperienze artistiche e umane ha trovato
nel Rialto un luogo dove crescere, entrare in contatto con esperienze
simili o con la critica, o ancora esprimere un’idea di cultura
indipendente, non subalterna, in grado di parlare al presente. Questo
è stato possibile perché il Rialto è un luogo realmente aperto, dove è
possibile sperimentare nel tempo e persino sbagliare.

Accanto a questa idea di cultura come incontro umano e artistico, il
Rialto ha portato avanti un sostegno concreto alla produzione,
supportando decine di produzioni e mettendo a disposizione
gratuitamente due sale prove per undici mesi l’anno.

In una città come Roma, dove l’assenza di centri di produzione spicca
come un primato negativo a livello europeo, significa dare un
contributo sostanziale alla nascita di decine di spettacoli ogni anno.
Spettacoli che poi girano nei principali festival italiani, da
Santarcangelo a Castiglioncello fino al Festival Teatro Italia di
Napoli, o nelle piazze principali del teatro contemporaneo, come il
Teatro India di Roma.



Tutto questo è stato possibile grazie a un modello che non è mai
dipeso dai finanziamenti pubblici o privati, un sistema di
auto-finanziamento che ha consentito di dare continuità ai progetti
artistici, laddove la continuità in campo culturale è diventata un
miraggio; e tutto questo nella più totale indipendenza artistica e di
pensiero.

Un modello di economia alternativa da anni sperimentato in tutte le
realtà indipendenti, che oggi si vuole additare a mera attività di
commercio abusivo.



Il ruolo svolto in questi anni di monitoraggio, supporto e dialogo
costante con le realtà emergenti del territorio e nazionali hanno
fatto del Rialto uno dei luoghi simbolo della scena indipendente. La
trasversalità della programmazione ha portato al dialogo con diverse
istituzioni culturali, dai centri di cultura internazionali alla Festa
del Cinema, fino alla Fondazione Romaeuropa, che ha supportato il
progetto di produzione ZTL-pro insieme alla Provincia di Roma, ideato
dalla rete di operatori indipendenti romani ZTL (composta da Rialto,
Angelo Mai, Santasangre/Kollatino Underground, Teatro Furio Camillo,
Triangolo Scaleno Teatro / Teatri di Vetro). L’attività di ZTL
dimostra come la cultura indipendente, al contrario delle logiche
competitive che ispirano anche le strutture pubbliche, cresce e si
sviluppa in una dimensione di cooperazione e condivisione. L’attività
costante del Rialto, che è un punto importante nella geografia
culturale della capitale, ha sempre pensato se stessa come un tassello
di un movimento più vasto, che ha cercato di far emergere i linguaggi
del contemporaneo in un panorama culturale, come quello romano,
tendenzialmente refrattario all’innovazione. Allo stesso tempo, il
Rialto come luogo è stato quotidianamente punto di incontro per
discussioni, riunioni, dibattiti, assemblee, dando un sostegno
concreto e “fisico” all’incontro tra soggetti diversi.



A tutti coloro che hanno attraversato il Rialto perché ci sono andati
in scena, hanno provato e fatto debuttare qui i propri spettacoli,
sono stati semplici spettatori, hanno recensito scritto studiato, a
chi si è solo incuriosito, a tutti coloro che sentono risuonare tra le
mura del Rialto qualcosa di familiare e prezioso, che a Roma non può
venire meno, chiediamo di esprimere con una firma il proprio sostegno
attento e appassionato.

Grazie a tutti coloro che saranno con noi a cui speriamo di dare
presto notizie positive.

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Chi non conoscesse il Rialto può farsene un idea guardando questa intervista al suo presidente. Clicca qui.

3 ago 2009

Di Pietro pronto all'alleanza con Grillo: "Con il suo Movimento si può innescare il cambiamento''


Roma - (Adnkronos) - Il leader dell'Idv entusiasta dopo l'annuncio dato dal comico della nascita, il prossimo autunno, del Movimento di liberazione : "Mi auguro di avere nel nuovo Movimento un valido interlocutore affinché, insieme, si possa innescare il cambiamento che gli italiani aspettano da molti governi, una 'rivoluzione democratica' per rinnovare il Paese". Grillo: ''Lancerò liste regionali a cinque stelle per le elezioni del 2010''

Roma, 3 ago. - (Adnkronos) - "Nell'indifferenza nazionale della casta e dei suoi media, sabato nessuno si è accorto di un fatto molto rilevante: Beppe, dal suo blog, annuncia la nascita di un movimento per il prossimo autunno, che si presenterà alle elezioni regionali del 2010''. Lo scrive Antonio Di Pietro, Presidente dell'Italia dei Valori, sul suo blog. "Finalmente, caro Beppe, ti sei convinto di quanto ti segnalai qualche anno fa: 'per cambiare il Paese bisogna metterci la faccia', lo dico con sincerità e senza compiacimento: finalmente anche tu sei sceso nell'arena, deluso da questa classe politica al tramonto, predatrice ed incapace contro cui Italia dei Valori si scontra un giorno si e l'altro pure".

"Ho accolto la notizia -scrive Di Pietro- con grande entusiasmo e nessuna preoccupazione, un sentimento, il mio, molto lontano dalle parole con cui i notabili del Pd ti hanno liquidato appena qualche settimana fa definendoti membro di un movimento ostile. Ora quel movimento ostile dietro cui si muovono qualche milione di cittadini, che in realtà, a mio avviso, costituisce una manifestazione esemplare di democrazia diretta, nata e cresciuta all'ombra della Rete, puo' trovare un'identità alle urne delle prossime elezioni".

"Mi auguro di avere nel nuovo Movimento di Liberazione Nazionale, così come lo hai definito, un valido interlocutore per l'Italia dei Valori affinché, insieme, si possa innescare il cambiamento che gli italiani aspettano da molti governi, una 'rivoluzione democratica' per rinnovare il Paese mobilitando le coscienze del primo partito nazionale: quello degli sfiduciati, degli astenuti, delle schede bianche. Un benvenuto, dunque, e porte aperte al movimento con cui Italia dei Valori ha sempre condiviso larga parte delle sue battaglie, idee e programmi e con cui mi auguro si possa riuscire nell'avvincente impresa in cui ci siamo cimentati ormai da qualche anno: far soffiare un vento nuovo -conclude Di Pietro - nella politica e nella democrazia italiana in odor di vecchio e, a dir il vero, anche di marcio''.
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Grillo: ''Lancerò liste regionali a cinque stelle per le elezioni del 2010''

Roma - (Adnkronos) - L'annuncio del comico sul suo blog: ''In autunno nascerà un nuovo movimento di liberazione nazionale, un soggetto politico espressione dei cittadini''
Roma, 1 ago. (Adnkronos) - ''L'assalto alla diligenza Italia è in corso. Tutti vogliono la loro parte di bottino. Partiti, lobby, criminalità organizzata, interessi locali, gruppi stranieri. Gli unici esclusi sono i cittadini, coloro che si ostinano a chiamarsi italiani e a pagare le tasse. La democrazia è diventata un semplice esercizio di potere. L'economia nazionale una crescita del debito a carico nostro e delle future generazioni. I partiti hanno il potere del debito e lo usano contro di noi. Creano capitoli di spesa per motivi elettorali, di conservazione della loro influenza, come per la Sicilia a cui hanno assegnato quattro miliardi di euro''. E' quanto scrive Beppe Grillo sul suo blog, annunciando che dopo l'estate lancerà le ''Liste regionali a Cinque Stelle per le elezioni del 2010'' e che ''in autunno nascerà un nuovo Movimento di Liberazione Nazionale, un soggetto politico a Cinque Stelle espressione dei cittadini. Un esempio di democrazia diretta''.

2 ago 2009

Google sfida Microsoft, Pronto il sistema operativo


Il Google Chrome OS sarà open source (cioè liberamente modificabile dagli utenti) e farà la sua comparsa su alcuni modelli di pc portatili nella seconda metà del 2010 di ALESSIO BALBI

SUN VALLEY - L'attacco al cuore di Microsoft è stato lanciato: Google ha appena annunciato la nascita di un suo sistema operativo, diretto concorrente del dominatore Windows. Il Google Chrome OS, questo il nome del prodotto, sarà open source (cioè liberamente modificabile dagli utenti) e farà la sua comparsa su alcuni modelli di computer portatili nella seconda metà del 2010.

E così, dopo essersi messa in diretta concorrenza con Microsoft Office e Internet Explorer, lanciando propri programmi per la videscrittura, il calcolo, la navigazione in rete, Google ora tenta di colpire il gigante di Redmond dove fa più male: nel campo dei sistemi operativi per personal computer, dove Windows regna praticamente incontrastato da decenni.

Secondo quanto annunciato da Google sul suo blog ufficiale, Chrome OS sarà pensato per un nuovo tipo di panorama informatico, nel quale i computer sono sempre più rivolti a internet. In questo senso sarà la naturale estensione di Google Docs (la suite di software online per l'ufficio) e del browser Google Chrome. "Gli attuali sistemi operativi sono stati disegnati in un'era nella quale non c'era il web", spiega Sundar Pichai, VP Product Management and Linus Upson, Engineering Director di Google. "Il nuovo sistema operativo dovrà essere veloce e leggero, dovrà avviarsi e portarti in rete in pochi secondi". Per questo, i primi computer a dotarsi del Google Chrome OS saranno i netbook, i piccoli portatili di ultima generazione pensati per gli utenti che hanno bisogno di lavorare e accedere a internet in mobilità.

Google era già presente nei sistemi operativi con Android, il suo prodotto per i cellulari. Chrome OS, che avrà un cuore Linux, potrà essere usato tanto sui portatili che sui computer desktop più potenti. A maggio 2009, secondo i dati forniti da NetApplications, Windows era presente in oltre l'87 per cento dei pc. Al momento, il concorrente più significativo è il Mac OS X, con il 9,8 per cento. I vari sistemi operativi Linux si dividono attualmente circa l'1 per cento del mercato.

(8 luglio 2009)